L’8 novembre è stata una giornata importante per tutto il pubblico impiego ma è stata anche una giornata particolare per noi precari INGV. Quando la Flc-CGIL ha proposto alla nostra collega Maria Grazia di fare un intervento al comizio finale della manifestazione non avevamo, e forse nemmeno lei, ben chiara la portata della cosa: che avrebbe parlato davanti a 100.000 persone.
Nonostante le recenti manifestazioni, che avevano già portato in piazza molte persone, le strade si sono riempite di nuovo e Sabato di gente ce n’era e tanta.
I lavoratori sono sfiniti da anni di “mazzate” ma, nonostante ciò, continuano a mobilitarsi in difesa dei propri diritti e per un Paese diverso.
Anche noi precari INGV siamo stremati ma non ci fermiamo e là, su quel palco a Piazza del Popolo, davanti a tutti quei lavoratori e a tutte quelle lavoratrici, c’eravamo tutti, con la nostra quanto mai grottesca storia, tristemente emblematica di come la ricerca viene trattata in questo paese. L’energia che aleggiava era indescrivibile, da togliere il fiato, e tutte quelle persone che ascoltavano attente erano emozionanti e commoventi.
Ecco il testo dell’intervento di Maria Grazia, per chi non ha potuto esserci.
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“Sono anch’io una lavoratrice del pubblico impiego. Sono una ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, un Ente Pubblico di Ricerca.
Purtroppo la definizione non è completa, per esserlo dovrei aggiungere un aggettivo e dire ‘ricercatrice precaria’.
Fino a una decina di anni fa non era una definizione molto nota, né ricercatrice né tanto meno precaria, ora sono diventate parole di uso comune, soprattutto la seconda.
Io sono quindi una ricercatrice precaria dell’Ingv, sono una sismologa, mi occupo di terremoti.
Precario, all’Ingv come negli altri EPR, non è sinonimo di giovane inesperto; in molti casi vuol dire ricercatore di fama internazionale, di personale altamente qualificato, professionisti in grado di analizzare un fenomeno complesso e pericoloso come è per esempio il terremoto, ricercatori che hanno le stesse responsabilità dei colleghi a tempo indeterminato e svolgono mansioni del tutto equivalenti: garantendo per esempio il monitoraggio sismico e vulcanico del territorio nazionale.
La storia di noi precari dell’Ingv è una storia davvero assurda e l’incredibile è che non finisce mai di stupire neanche noi, attori decisamente involontari.
Inizia nel 2007 e ancora non è finita: inizia quando maturiamo per legge il diritto a essere assunti, si chiama Stabilizzazione, ma non veniamo assunti e siamo ancora precari.
È una storia che prosegue negli anni che scorrono via tra governi davvero indimenticabili che tagliano i fondi ordinari, riducono i posti in pianta organica, bloccano il turn-over.
In tutto questo ovviamente i terremoti non si fermano e i contratti scadono.
Ricordo qui solo il terremoto del 2009 a L’Aquila: la notte del 6 aprile, a pochissime ore dall’evento, quattro ricercatori dell’Ingv partirono con la rete sismica mobile per andare a L’Aquila: tre di loro erano -e sono ancora- precari.
E non si può non ricordare, in tutto questo marasma, la scadenza, annuale, umiliante, puntuale ed estenuante dei nostri contratti.
Nel 2013 la prima grande vittoria: la legge 128 assegna all’Ingv 200 posti che, sia chiaro, sono posti ottenuti da NOI, dai lavoratori, supportati dal sindacato certo, ma tirati fuori con le unghie, con le nostre iniziative, con le nostre energie, in un contesto sociale quanto mai difficile e complicato. 200 assunzioni che non risolvono completamente il problema del precariato all’Ingv, noi siamo molti di più, ma che sono sempre un traguardo quasi insperato eppure, incredibile ma vero, nel 2014 anno in cui potevano partire le prime 40 assunzioni, ancora, a oggi, NESSUNO è stato assunto e tutto è fermo.
200 posti sono un bel tesoro e infatti parte la sciagurata spartizione del bottino da parte di chi ha purtroppo il diritto di decidere, dirigenti poco illuminati con la totale incapacità di andare oltre il proprio io, con l’inadeguatezza del ruolo che occupano e la non volontà di lavorare per un bene comune e quindi tutto è bloccato e impantanato.
Storie da raccontare, lo sappiamo tutti, ce ne sono infinite, ognuno ha la sua, storie diverse ma con una radice comune: la totale mancanza di rispetto di chi ci governa nei confronti di chi lavora, di chi s’impegna, di chi offre a questo paese passione, competenza e professionalità.
Ma il nostro è un caso emblematico anche per un’altra ragione. Noi ci occupiamo di terremoti, vulcani, ambiente. Tra tutte le catastrofi naturali che si abbattono sul nostro Paese, sono i terremoti a causare i danni più ingenti e il maggior numero di vittime.
In questa nazione quindi dove il rischio sismico e vulcanico è così elevato, in questo paese dove alcuni episodi particolarmente drammatici hanno messo in evidenza il fragile equilibrio tra lo sfruttamento delle risorse naturali e la cura del territorio, qui, si sceglie colpevolmente di non parlare di prevenzione, qui si decide di lasciare una generazione di ricercatori nel limbo del precariato, si decide di non investire in Ricerca e Sviluppo.
Tutto ciò denota un’altra grave e colpevole mancanza di rispetto, verso il paese, verso l’ambiente, verso l’incolumità delle persone facendo emergere l’incomprensibile ostacolo all’avanzamento della Conoscenza. I tagli continui che il settore ha subito negli ultimi anni hanno avuto pesantissime conseguenze: hanno scoraggiato chi voleva dedicare la propria vita lavorativa alla ricerca spingendolo in alcuni casi a emigrare all’estero, hanno creato un ingente numero di precari tra chi ha deciso di restare in Italia, hanno rallentato lo sviluppo e sbarrato la strada a une delle poche possibilità di ripresa economica di questa nazione.
Noi, la mia generazione, siamo il passaggio dalla crescita, alla crisi. Davanti a noi le nuove generazioni, alle quali blocchiamo il cammino non permettendo un importantissimo ricambio generazionale, togliendo vivacità e freschezza alla ricerca stessa. Una ricerca che dovrebbe essere libera, svincolata da esigenze politiche e di mercato. I Costituenti garantirono il concetto dell’autonomia della ricerca precisando non solo che «l’arte e la scienza sono libere» ma che «libero ne è l’insegnamento» escludendo di fatto l’imposizione e le restrizioni al lavoro dei ricercatori, impedendone forme di condizionamento e finalizzazioni politiche o ideologiche, ma il precariato cos’è se non una pesantissima forma di condizionamento?
La mia generazione ci ha creduto, ma il precariato ha infranto sogni e sgretolato speranze.
Noi però continuiamo a lottare per i nostri diritti e per la dignità del nostro lavoro.
Io sto lottando per ottenere un futuro migliore per me, per mia figlia, perché impari a non arrendersi mai, una figlia alla quale dico sempre che studiare è importante, è importante… temo il giorno in cui verrà e mi dirà ‘sì è importante ma guardati, tu che allo studio hai dedicato la vita, guarda come non vieni apprezzata, guarda in quante difficoltà sei costretta a muoverti ogni giorno’.
E’ vero, ma continuo a lottare per cambiare le cose, per me, per lei, per il mio paese, il mio povero paese massacrato, un paese dove aumentano i profitti di pochi e diminuiscono i posti di lavoro, un paese che deve capire che un modo per rialzarsi è investire in noi, nella ricerca, nell’innovazione, nei nostri pensieri, nelle nostre idee.
Così, forse, un paese si risolleverà e noi potremo, forse, riappropriarci dei nostri sogni.
I Governi in questi anni si sono accaniti contro noi lavoratori del pubblico impiego, tutti, dalla sanità alla conoscenza (geofisica, nutrizione, politiche del lavoro, ambiente), ma tutti noi continuiamo nelle nostre mobilitazioni e continueremo ancora, se necessario, fino allo sciopero generale. Noi siamo pronti.”
Maria Grazia Ciaccio, ricercatrice precaria.
(p.s. ringrazio chi c’era e chi da sempre condivide con me questa lotta infinita)